Le emoji fanno ormai parte del nostro quotidiano e siamo abituati ad usarle nei nostri messaggi per far intuire il nostro stato d’animo. In alcuni casi, vengono anche usate per esprimere un concetto senza, però, scrivere niente. La domanda che, però, bisogna porsi è: le emoji usate sui social sono diffamatorie?

Le emoji come forma di comunicazione
Con l’introduzione delle chat online, il modo di relazionarsi tra persone è cambiato totalmente: se prima si discuteva faccia a faccia, oggi, nella maggior parte dei casi, si parla prevalentemente tramite messaggio.
In una conversazione di persona, i vari partecipanti non comunicano solo con le parole, ma anche con i movimenti del corpo, il tono di voce e le espressioni. Per includere questa componente anche nelle chat, vengono usate le emoji, dei pittogrammi che rappresentano stati d’animo, azioni o oggetti. Un messaggio, infatti, assume un significato totalmente diverso quando è seguito da un’emoji. Aggiungendo una faccina che ride o una arrabbiata, si rendono immediatamente chiari i sentimenti provati in quel momento.
Oltre a decorare la chat, le emoji vengono usate per sintetizzare una risposta. Se, ad esempio, ricevete un messaggio con il pollice in su significa che la persona è d’accordo con quello che state dicendo.

Le emoji usate sui social sono diffamatorie?
Nella prima parte di questo articolo, abbiamo parlato dell’uso generale delle emoji. In alcuni casi, però, queste vengono usate per insultare o esprimere un’opinione negativa nei confronti di un’altra persona. Alcuni pittogrammi, infatti, sono reinterpretati e usati in maniera scorretta. I simboli principali usati a questo scopo sono il clown, il maiale, la forma di cacca e quella di gabinetto.
Per rispondere alla precedente domanda, non esistono risposte nel codice penale, perciò vanno ricercate nelle sentenze, in due in particolare. La prima sentenza è la numero 107 del 24 gennaio 2022 del Tribunale di Verona nella quale un consigliere comunale è stato accusato di diffamazione nei confronti di un suo oppositore. In particolare, questa persona aveva usato l’emoji a forma di cacca per mettere in cattiva luce l’avversario. Il consigliere è stato condannato a rimuovere subito il pittogramma incriminato e, in caso di ritardo nel farlo, avrebbe dovuto pagare una penale di 150 euro per ogni giorno. Secondo il giudice, quindi, era sufficiente un emoji per trasformare il messaggio in diffamazione.
Un’altra sentenza, la numero 2251 del 2023, conferma questo pensiero. In questo caso la Cassazione ha definito un messaggio accompagnato da un emoji come diffamatorio. Nel caso particolare, un utente aveva commentato il post di un imprenditore, che trattava il tema dei problemi di viabilità del proprio paese. Nella sua interazione, il colpevole aveva fatto riferimento ai problemi visivi dell’altro aggiungendo una faccina che ride. Questa aggiunta, secondo la Corte, integrava il reato di diffamazione perché offensiva della reputazione di una persona.
Avevamo già dedicato un approfondimento alla diffamazione virtuale, se vuoi saperne di più leggi il nostro articolo Diffamare sui social è reato?

Il ruolo dell’investigatore privato in caso di diffamazione
Come vi diciamo sempre, affidarsi ad un professionista è la scelta migliore. Anche in questo caso, infatti, l’investigatore privato può esservi utile.
In caso di diffamazione online, l’investigatore fa una prima ricerca per stabilire se il presunto colpevole stia commettendo un illecito. Una volta appurato questo, passa alla fase di raccolta e analisi delle informazioni in modo da avere delle prove a supporto della denuncia e di un possibile risarcimento.