Siamo soliti condividere i nostri pensieri, di qualsiasi tipo, sulle nostre pagine social. Ma cosa succede se parliamo della nostra azienda su facebook, magari con parole poco lusinghiere? Si può licenziare un dipendente per un post sui social?
Vediamo insieme il caso in questione.
Il caso dell’Ilva
Un dipendente dell’Ilva licenziato per la condivisione di un post su facebook contro la sua azienda, l’abbiamo sentito al telegiornale e ci è subito sembrata una cosa incredibile. In realtà succede e molto più spesso di quanto si pensi.
Nel caso in esame, si trattava di un post che pubblicizzava una fiction, molto seguita, nella quale si raccontava la storia di una fabbrica pugliese colpevole di inquinamento e di tumori, soprattutto tra i bambini.
La storia, fittizia, ricalcava però in modo pesante quella dell’Ilva, oggi Arcelor Mittal, famosa fabbrica pugliese, da sempre oggetto di discussione nell’opinione pubblica per le sue polveri inquinanti.
Il post in questione è stato condiviso da due dipendenti ma solo uno è stato licenziato. L’azienda ha infatti preteso che i due si scusassero pubblicamente, sottolineando quanto un post su facebook possa ledere la reputazione di chiunque, soprattutto di un’azienda. Uno ha accettato, ed è stato solamente sospeso, l’altro si è rifiutato.
E se il nocciolo del discorso è la reputazione, allora si comprende facilmente perché un post, davvero poco lusinghiero, sia costato un licenziamento.
Se poi aggiungiamo anche una questione di affidabilità e, a criticare l’affidabilità della sua stessa azienda, è un dipendente, la situazione si complica ulteriormente.
Vediamo cosa dice la legge, in primis, e la giurisprudenza, poi, sul caso, in modo da poter chiarire se si possa licenziare un dipendente per un post sui social.

Cosa dice la Legge?
Innanzitutto, ci troviamo nel campo della diffamazione, punita dall’art. 595 del nostro codice penale:
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.”
La Cassazione, poi, è sempre stata molto chiara sulla portata offensiva di una diffamazione a mezzo social, con sentenza 40083 del 2018 si è così pronunciata:
“l’utilizzo di una bacheca social per diffondere un messaggio diffamatorio, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indefinito o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.”
Come vedete, nel caso in esame, si tratterebbe di diffamazione aggravata, proprio perché quel post poteva essere condiviso più volte e visto da una pluralità di persone, addirittura non quantificabili, considerando la vastità del web.
Se si tratta poi di un dipendente, come nel nostro caso, anche un solo episodio diffamatorio può giustificare un licenziamento. Non sono pochi i tribunali che si sono occupati, negli anni, di questa problematica, vediamo insieme alcune decisioni:
- Con sentenza n. 8761 del 2017, il tribunale di Napoli legittimava il licenziamento di un dipendente che, attraverso mezzi telematici, aveva ingiuriato il suo datore di lavoro.
- La sentenza n. 2 del 2017 del tribunale di Busto Arsizio, invece, riteneva idoneo il licenziamento di chi disprezzava pubblicamente la propria azienda e i suoi amministratori.
- Infine, il tribunale di Milano, con sentenza n. 27552 del 2013, confermava la giusta causa nel licenziamento di un dipendente, sorpreso a diffamare i suoi colleghi sui social network.
La questione in esame è sicuramente più particolare, perché va a toccare tematiche di estrema delicatezza e comunque note ai più, pur non nominando mai l’azienda incriminata. Ma la giurisprudenza parla chiaro, non è possibile diffamare senza incorrere in gravi conseguenze.
E anche in questo caso, non possiamo non ricordare l’importante ruolo svolto dalle agenzie investigative. Un investigatore, conscio dei suoi limiti di operatività e di privacy, conosce i giusti mezzi per provare l’avvenuta diffamazione e fornire le prove necessarie a far valere i propri diritti nelle sedi più opportune.