Tecnologia e giustizia: casi risolti grazie alle app

Come abbiamo ribadito varie volte, la tecnologia è entrata prepotentemente nelle aule di giustizia. E non solo per i cybercrimes. Vediamo insieme alcuni casi giudiziari, incredibili, che si sono risolti grazie alle app dei nostri smartphones.

L’omicidio di Kat West

È il 2018, quando Kat West viene trovata morta nel cortile della sua abitazione, in Alabama, con il suo cellulare e una bottiglia di liquore a fianco. Sembra una caduta accidentale, conseguente all’abuso di alcol, ma la polizia non ne è così certa. I sospetti si concentrano sul marito, Jeff West, ma lo stesso dichiara di essersi addormentato molto presto, dopo aver consumato una grande quantità di alcol insieme alla moglie. 

L’autopsia rivela la prima discrepanza della storia. Non si è trattato di caduta accidentale bensì di trauma da corpo contundente. La donna è deceduta, infatti, in seguito ad un colpo in testa, presumibilmente causato da una bottiglia molto pesante.

Nessun estraneo sembra essersi introdotto nella casa dei due coniugi, quindi gli inquirenti si concentrano sulla versione del marito che sembra fare acqua da tutte le parti.

Il suo alibi sarà uno dei primi, nella storia giudiziaria, ad essere messo in discussione grazie all’utilizzo di un’applicazione.

L’uomo aveva dichiarato di essersi addormentato alle 22.30 ma il suo cellulare ha smascherato la sua bugia. In particolare, l’applicazione passi del suo smartphone, ha registrato una camminata, che l’uomo avrebbe fatto dopo le 23. 

Intorno alle 23 anche l’ora della morte, stabilita dal medico legale. Grazie a questo dettaglio, contenuto nella memoria del telefono, gli inquirenti hanno potuto ricostruire la dinamica del crimine: Jeff aveva rincorso la moglie in cortile, dopo una l’ennesima lite, colpendola con la bottiglia di liquore e lasciandola senza vita. 

Chiaramente, i passi registrati dall’applicazione si sono inseriti in un nutrito panorama di prove a carico del marito, ma sono stati sicuramente l’indizio più lampante per la risoluzione del caso.

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Lo stupro e l’assassinio di Maria Ladenburger

Il caso appena esposto è sicuramente il più famoso ma non è il primo. Una notizia del 2016, condivisa dal quotidiano tedesco Die Welt, ci dimostra quanto le app fossero fondamentali per i tribunali del vecchio continente, già alcuni anni fa. 

Siamo a Friburgo in Brisgovia, dove viene rinvenuto il cadavere di una studentessa, Maria Ladenburger, lungo il fiume Dresiam. Gli inquirenti si concentrano quasi immediatamente su Hussein Khavari, identificato da una telecamera di sorveglianza e da un capello ritrovato sulla scena del crimine. Anche in questo caso, i dati raccolti sul suo cellulare, e dalle sue app, si inseriscono in una lunga lista di prove a suo carico, ma la registrazione dei suoi passi, del suo percorso, e addirittura dello sforzo compiuto, sono stati decisivi per la sua condanna. L’app salute installata sul suo smartphone, infatti, aveva registrato un percorso, riconducibile al fiume dove era stata ritrovata la ragazza e, addirittura, i battiti cardiaci. I suoi battiti rivelavano uno sforzo, paragonabile al possibile trascinamento di un corpo, come provato successivamente da un poliziotto che, con l’utilizzo della stessa applicazione e riproducendo fedelmente il percorso ed il trascinamento, aveva registrato gli stessi picchi cardiaci, per la fatica, e gli stessi passi. 

Grazie anche a queste prove digitali, il sospettato è stato condannato all’ergastolo.

Un caso italiano

Anche in Italia, le app aiutano a risolvere casi complicati o, quantomeno, a scoprirli. Parliamo del caso del sospetto stupratore seriale milanese, Antonio Di Fazio, sospettato di aver drogato e poi abusato di una studentessa alla ricerca di uno stage universitario. Le indagini hanno poi evidenziato che le vittime sarebbero diverse, sempre adescate con la stessa modalità. L’indagato, chiaramente, respinge ogni accusa, ma alcune importanti risposte sul suo caso sarebbero giunte dalle applicazioni installate nel suo telefono. Nel particolare, il percorso registrato per raggiungere la ragazza e quegli 86 passi dopo la mezzanotte, che sembrerebbero far crollare il suo alibi. 

Quando le app, invece, si sbagliano

In diversi casi, come quelli appena illustrati, le app si rivelano utilissime, non soltanto per incastrare criminali ma anche, molto più semplicemente, per localizzare cose (come materiali rubati, e poi ricettati) o persone (in casi di emergenza o di scomparsa).
Le app, inoltre, sono fondamentali nel mondo della criminalità virtuale. È attraverso i programmi più sofisticati che le forze di Polizia di tutto il mondo vanno a caccia dei cybercriminali.

La prospettiva di poter utilizzare la tecnologia nella prevenzione e nella risoluzione del crimine sembrerebbe molto rosea ma… non sempre tutto funziona come deve.

A volte, le stesse app di geolocalizzazione possono sbagliare e suggerire collegamenti, in realtà, inesistenti. È questo il caso di un uomo, Zachary McCoy, considerato sospettato principale di una rapina perché si trovava proprio nelle vicinanza di quell’abitazione con la sua bicicletta. E di tanti altri, come lui. 

Come sempre, noi di Nemesis, ci teniamo a ribadire la necessità di affidarsi agli esperti, per una ricerca precisa di prove valide e documentate, nelle quali inserire anche le prove digitali, se particolarmente significative alla risoluzione di un caso.